A sette mesi dall'incontro avuto presso la sede Universitaria di Suor Orsola Benincasa, i lavori di ristrutturazione della Chiesa di San Carlo sono in corso, il Centenario della nascita di Antonio Altamura è stato dignitosamente celebrato ed ora è il momento di passare alla fase di recupero della piazza con un progetto semplice ma funzionale che restituisca alla zona antistante la Chiesa un minimo di decoro.
Nel corso del citato incontro l'amico Architetto Gianni Vigilante tenne una sintesi della relazione che quì di seguito pubblico e che generosamente ha inteso porre a disposizione per uno studio più analitico degli interventi necessari da sottoporre nelle appropriate sedi istituzionali.
Colgo l'occasione per ringraziarlo ancora una volta unitamente ad Ezio Aliperti Presidente dell'Associazione Culturale Futura per il prezioso contributo.
di Gianni Vigilante*
La città è narrazione.
Racconta se stessa ad ogni cantone, nelle pietre, negli intonaci
scialbati, nelle sue sonorità. Con questo assunto mi sono avvicinato
alla progettazione urbana. Il linguaggio di questa narrazione è
assimilabile a quello letterario, pittorico, musicale, teatrale,
cinematografico. La quarta dimensione lo spazio/temporale è quella
che permette di comprendere e dà gli strumenti per intervenire, con
il dovuto rispetto, nello spazio urbano che dà le priorità ai
personaggi, le facce di pietra, il protagonismo delle architetture, e
al contrappunto degli episodi minori, quinte di per se
insignificanti, ma di valore d'insieme, le visioni improvvise che si
presentano, le fughe prospettiche e le meraviglie che costellano la
nostra città: “il bello del quotidiano” (Bonito Oliva). Non per
narcisistico esercizio di professione, quindi. né per espressione di
se stessi, non per ventura, ma chi interviene deve saper “guardare
e vedere” (Paolo di Tarso), misurare il proprio fare per far
risaltare al meglio quello che esiste, che è già compiuto da
secoli, senza aggiungere, con qualità, valorizzando gli ambiti, i
percorsi e gli spazi del tessuto urbano con gli strumenti
dell’avanzare del piede, dello sguardo, del tatto, dell’udito,
del proprio bagaglio culturale.
L’invaso
urbano di Piazzetta San Carlo alle Mortelle è una pausa nello
scandire caotico nell’intreccio di vicoli che dal Petraio portano
fino al mare in un susseguirsi di visioni dall’alto, di squarci e
di accadimenti, di misteri da svelare. La pausa è più che altro
visiva, poiché lo sguardo si ferma discreto sulla facciata della
chiesa, il passo va oltre e ignora il resto per pudicizia.
Nel
mezzo del laissez-faire
e della
disillusione, Il degrado intristisce il passante, sebbene sia usuale
in questa città fatiscente, e induce a passare oltre, verso
piazzetta Mondragone e giù per rampe e scalinate fino al Largo di
Palazzo o a via Filangieri, dove spicca elegante la chiusura
prospettica del Palazzo Mannajuolo, negata da un albero messo lì da
un notabile storico dell’architettura, già preside della facoltà
di architettura; ignaro.
Il recupero della qualità
urbana resta ancora una buona intenzione, dallo sventramento del
rettifilo dell’Italia e dalle colmate a mare di Santa Lucia
postunitarie; dal tempo del “Regno del possibile” che aveva
entusiasmato i cittadini e risvegliato gli appetiti degli
speculatori, fino ad oggi, al Programma Unesco per la valorizzazione
della città storica: ultima spiaggia alla quale non si riesce ad
approdare per il mare grosso degli interessi di parte. Con esisti
raramente apprezzabili. Ma Neapolis, nonostante tutto, sopravvive e
mostra la sua natura divina anche in un frammento di mare.
In
tutto questo però è confortante che un gruppo di amici si dia da
fare per difendere la propria radice, un luogo. Ogni strada, ogni
piazza ha un valore; come ogni antica città ha stratificato una
sull’altra le sue mura, così ogni spirito si regge sulle memorie
della una comunità. Ed è al di là di ogni valutazione
storico-artistica, che la cura della città una generazione deve alla
successiva. E quindi va dato merito a chi si è mobilitato, senza
alcun interesse, che quello di rinverdire i ricordi, di alimentare
culture che sono di tutti. Questa impresa è encomiabile, poiché
traccia un cammino che ognuno può fare. Può essere questa una
modalità operativa che, venendo dal basso, faccia da stimolo a chi
ci rappresenta nelle istituzioni; una bottega del fare con le risorse
che abbiamo, affinata con l’arguta intelligenza che a noi
napoletani non manca. È una occasione per fornire un abbecedario che
dia le basi a tutti quelli che sono ancora mossi da amore per questa
città, che vogliono darsi da fare in prima persona. Questa è
partecipazione.
La
piazza è conformata su due piani, ma in un unico spazio: uno è
costituito dalla strada tangente che viene dal corso, l’altro è lo
spazio antistante la chiesa; le cortine edilizie che avvolgono
entrambe; in origine forse, questo fu un modo di irreggimentare le
acque pluviali che scorrevano libere.
La
visione dell’edificio più rappresentativo, la chiesa, richiedeva
un punto centrale di vista, e uno spazio chiuso e abbastanza grande
per celebrare gli eventi. In questa organizzazione di spazi la rampa
sembra funzionare da loggia, dalla quale si poteva assistere alle
cerimonie all’aperto. L’insieme dà un senso di armonia e lo
spazio è percepito concluso, poiché la tangente di via Filippo Rega
si apre di lato ed è nascosta alla vista, e le cortine edilizie in
questo spazio teatrale, fanno da quinte.
Diceva
Vitruvio che lo spazio al centro appartiene ai gladiatori e si nota
questo in molte piazze italiane; per esempio a Firenze a piazza della
Signoria, statue e fontana non sono poste al centro, ma ai lati. Il
centro, io dico, non essendoci più gladiatori, è per lo scambio
sociale, per l’afflato, per chi celebra rituali.
Ho
potuto toccare con mano quanto ciò fosse vero, accompagnando Ezio
Aliperti ed Antonio Salzano, quando ci siamo fermati a raccogliere i
saluti di conoscenti ed amici.
Sono
tanti i luoghi, anche più noti di questo, nelle stesse condizioni e
talvolta anche peggiori; fa sempre male, a chi ama Napoli, rilevare,
superando l’abitudine, ciò che è in dissesto morale, etico e
culturale nella nostra città.
La
chiesa, chiusa da quattro anni è ingabbiata da teli; dei due edifici
prospicienti, graziaddio uno è stato oggetto di un intervento
accettabile, l’altro è in completo abbandono. Oltre la rampa gli
edifici hanno un discreto stato, ma su tutti, trame di fili e tubi ed
atre faccende disegnano ragnatele di pressapochismo. Gli enti che
operano nella fornitura dei servizi, non controllati da alcuna
autorità che faccia rispettare le regole, hanno libero campo. Il
loro scopo è quello di fornire servizi e per ciò che si sceglie la
strada più breve; economica per gli operatori, non per i proprietari
degli immobili che vi si affacciano, poiché il decoro e la bellezza
si traducono in denaro quando si stima un edificio: ciò che darete
vi sarà dato, non solo in termini di mera materia.
Il
muro di sostegno della rampa
mostra muri sbrecciati, bauletti di pietra corrotti dai fuochi
attizzati dai soliti ignoti. Una edicola votiva conserva ancora la
sua dignità per la cura di qualche devoto; in mezzo c’è il
parcheggio convulso e disordinato. Passa raramente un’auto.
Campeggia l’indecenza dei contenitori dell’immondizia. E del
mirto, genius loci evocato nell’antico nome, non v’è traccia. Di
queste presenze s’è persa la traccia e del sostantivo “mortelle”
pochi conoscono il significato.
Mi
ha sempre sorpreso che gli abitanti di questa città non considerino
lo spazio pubblico; è una entità che non gli compete. Nelle
periferie, dove notavo la cura puntuale per gli altarini edificati
alla fede, illuminati e lustrati, mentre il campetto di basket
realizzato da noi, dal Comune di Napoli, era stato distrutto in pochi
mesi.
Una
volta le feste legate al luogo fornivano la connessione tra abitanti
e lo spazio urbano in cui essi stessi si sentivano rappresentati e si
identificavano, oggi le feste legate ad un edificio religioso, alle
fontane a un quartiere sono ricordi lontani. Peccato poiché questo
univa gli abitanti ai luoghi ed essi ne riconoscevano e tutelavano
l’integrità. Mi auguro che la chiesa possa aprire al più presto i
battenti e riempire la piazza nelle ricorrenze: questo è essenziale
per ridare pregnanza alla piazza.
Cosa
fare quindi a piazzetta San Carlo alle Mortelle? Ben poco se dobbiamo
scendere a compromessi con la raccolta dei rifiuti solidi urbani, il
carico e scarico differenziato, la sosta selvaggia e la viabilità.
Darla vinta senza coraggio al comune senso di angoscia, al
balbettamento tra il fare e non fare e mentre si dissipa la ricchezza
comune, ci lascia con le mani vuote. Cosa serve? Un maquillage sulle
gote pallide e smunte dell’infermo, a noi che siamo al capezzale,
prima di seppellirlo? Ragionando al meglio, anche se un poco
idealisti, ritroveremo lo spirito giusto, il sentimento che abbiamo
nei confronti di questa città. Diversamente accontentiamoci e senza
rispetto facciamo l’indispensabile, ma questa scelta spetta a chi
rappresenta la polis, al parente più prossimo che tiene la borsa,
non a chi è cosciente del male, ma non ha conoscenze ne risorse per
curare, ne al dottore che conosce la scienza e prescrive la medicina,
ma non può imporla.
Sostengo
da tempo e ho applicato nei miei interventi di arredo nel centro
storico, la regola: “less is more - il meno e più” (Mies
van der Rohe). Un
assessore, la dottoressa Parente mi chiese: “archite’ e che avete
fatto? Dove sono le panchine?”. A piazza san Domenico maggiore
nella parte a valle che configura una strada, avevo sostituito la
pavimentazione in cubetti di porfido del Trentino con il nostro
basolato vesuviano. Non lo aveva notato e questo fu per me la
conferma di essere sulla giusta strada Sono contrario alle
istallazioni dissonanti, che prendono campo a discapito di presenze
più antiche e più sagge: ogni luogo ha una sua identità che va
compresa, rispettata e difesa: è una sinfonia già scritta da mani
sapienti. Nella città stratificata, rimettere a posto un basolo,
ristabilire gli assetti, ripristinarne le finitura superficiale, è
più proficuo che inventarsi nuove stupefacenti pavimentazioni. “Il
disegno urbano è un’arte e non una scienza” (Kevin Lynch), e di
un’opera d’arte urbana già definita, dobbiamo applicarci al
recupero e al restauro e renderla al meglio fruibile e integrare le
tecnologie come strumento che ci aiuti a operare meglio nel rispetto
delle preesistenze. Possiamo dipingere i baffi alla Gioconda? Sì,
purché sia una copia. Il “ready-made” dissacratorio di Duchamp
ce lo insegna. Non condivido quindi interventi del tipo Mendini in
villa Comunale, sono per il ricorso ad una azione sottile, leggera,
discreta. Non c’è da discutere sulla scelta dei complementi di
arredo, sul lampione o sulla panchina, ma sul loro inserimento nel
contesto. Non è una questione di design, ma di architettura. Ma, si
sa, gli apparati degli enti preposti scelgono un nome altisonante:
elimina ogni dibattito e gli risparmia le critiche.
Ciò
detto, andiamo a puntualizzare presupponendo che l’intervento di
recupero urbano sia finalizzato al recupero dell’immagine urbana di
qualità, della fruibilità e del confort dell’area attraverso una
metodologia efficace.
Interventi
propedeutici: Prima
di ogni intervento di Arredo Urbano si predispone una ispezione alle
all’impianto fognario pubblico per il riassetto di eventuali
dissesti e il recupero manutentivo. Lo stesso dicasi per i tracciati
delle forniture pubbliche di adduzione di acqua, elettricità,
telefonia,
delle tubazioni e dei cavi attualmente sulle facciate.
Viabilità:
il luogo, nato con
ridotte esigenze di circolazione, è oggi fortemente condizionato da
un intervento di edilizia sostitutiva nel primo tratto di via Rega,
databile negli anni ’70, che ha determinato un carico urbanistico
ai limiti della sostenibilità. L’unica via di connessione, di
questo flusso di traffico, la viabilità ordinaria, resta quindi il
percorso che attraversa la piazzetta, poiché a valle, verso Chiaja,
ci sono le gradonate che conducono alla Vetriera. Di conseguenza, non
essendoci alcun controllo, la mobilità risulta caotica e
difficoltosa essendo usata nei due sensi. Il pensiero di poter fare
del largo un polo di attrazione è quindi da accantonare pur avendone
essa i requisiti: evento inaspettato, la presenza dominante della
chiesa, il fuori strada che amplia ancor più lo spazio. Si sarebbe
potuto considerare di favorire piccole attività di ristoro da
inserire nei locali che si aprono a livello stradale, dotare lo
spazio di Wi-Fi e organizzare piccole manifestazioni. Poco realistico
potrebbe sembrare il ricorso a dissuasori a scomparsa con apertura
riservata ai residenti e ai commercianti, per limitare il flusso e la
presenza di auto, ma perseguibile, se l’amministrazione garantisse
il controllo del territorio a cui è preposta.
Illuminazione
pubblica: adozione
di caratteri illuminotecnici per il risalto delle presenze
architettoniche di pregio e della comune illuminazione con arredi
d’epoca riportati nelle foto Alinari del secolo scorso e
ritrovabili ancora in città, nel Miglio d’oro, presso Portici e li
ho visti perfino in Sicilia ad Acireale e a Catania, e riportavano il
marchio della fabbrica napoletana. Li conservano bene e con cura e se
ne potrebbe ricavare un calco.
Nettezza
Urbana: lungo la
rampa di accesso all’area potranno essere configurati punti di
raccolta differenziata interrata. Il vano, opportunamente mascherato
sarebbe accessibile agli utenti e agli addetti nelle ore consentite.
In ogni caso il loro stato dovrà essere decoroso e oggetto di
pulizia frequente. Deve
essere garantito lo spazzamento e, se occorre, sanzionare chi non
rispetta il decoro riversando cartacce, cicche ed altro sul suolo
pubblico. Piano del
colore. Il
recupero della qualità urbana vi passa senza dubbio. Bisogna dare
indicazioni certe ai condomini. Va considerato con attenzione che
vanno conservate le finiture di facciate, le parti lapidee di
paramenti e cornici in pietra e marmo e la presenza di edicole votive
d’epoca, targhe commemorative, evitando in special modo di
modificare le aperture e l’adozione di tecniche e materiali
estranei alle tradizioni locali. Ci sono ricerche da fare sulle
cromie, recuperabili nelle stratigrafie, tra le testimonianze
narrative e d’immagini rintracciabili nei dipinti d’epoca.
Consiglio
all’Amministrazione l’emissione di Ordinanze Sindacali per il
recupero delle facciate dei fabbricati incidenti sull’area. Uno
strumento usato in passato, applicabile a tutta la città per la
salvaguardia del decoro urbano, in primis alle aree urbane di pregio
(Si pensi al Lotto 0 di via Filangieri il cui dipinti in facciata
presentano rigonfiamenti preoccupanti). Ciò obbliga i privati ai
lavori di ripristino ed in mancanza, a lavori eseguiti dalla
Amministrazione Comunale in danno dei proprietari. Inoltre
costituirebbe un apporto notevole di lavori e occupazionale per il
settore edilizio.
Barriere
architettoniche. Riguardo
al controllo delle pendenze per favorire l’accessibilità agli
spazi pedonali circoscrivibili con dissuasori della sosta scelti
ovviamente con cura e nel caso recuperando tipologie preesistenti. Il
basolato dovrà essere riassettato e lavorato in superfice a puntillo
per una agevole percorrenza pedonale. Il muretto di coronamento della
rampa potrebbe essere demolito e sostituito con una ringhiera che
consenta una maggiore visibilità della piazza dal piano inferiore.
una minore incombente barriera, fatto salvo il suo caposaldo in
pietra viva.
Restauro
degli arredi d’epoca:
lapidi e edicola votiva sulla rampa dovrebbero essere sottoposte a
restauro e recupero. Caratteri delle opere in ferro dell’età
postindustriale, che l’edicola presenta, vetri opportunamente
scelti nella colorazione dell’epoca, sua illuminazione, visibilità
ed accessibilità.
Arredo
verde: Il mirto
presente, fino a qualche anno fa, dovrà essere ripristinato, poiché
è elemento fondamentale dello Genius loci. La traccia di questa
presenza è ritrovabile nelle due aiuole presenti ai lati della
edicola votiva di cui sopra, in pietra basaltica di buona fattura.
Esercizi
commerciali:
controllo dello spazio ad essi destinato delle vetrine e delle
insegne, tabelle informative, tendaggi, arredi mobili a servizio
(tavoli sedute) che dovranno essere confacenti al decoro ed alla
immagine della città. Incentivazione per le attività di ristoro
(bar e ristorazione di modesta entità). Le concessioni per il cambio
di destinazioni e le licenze di esercizio potrebbero essere senza
oneri per i richiedenti, per incentivare il privato.
Manutenzione
urbana. Degli
operatori di servizi e forniture pubbliche s’è già detto: essi
lasciano il segno sia sulle pavimentazioni che sulle facciate, ma
poniamo attenzione anche alla manutenzione che in questa città non
si applica in senso continuo. Non si sostituisce una pietra, si
preferisce un badile di asfalto stradale per poi intervenire alla
fine del disfacimento totale. Intanto; in attesa della manutenzione
straordinaria, l’immagine della città va in malora.
* Achitetto,Scrittore e Poeta - Esperto
di arredo urbano. Sua la prima isola pedonale di Napoli degli spazi
antistanti l’Accademia di belle arti e diversi altri: da piazza
Vittoria agli spazi esterni di santa Chiara; da via Leopardi a via
Nicolardi.
Gianni Vigilante
RispondiEliminaGrazie Antonio per l'amore, che ci unisce, per la nostra vituperata e bellissima città.
Filippo Coletti
RispondiEliminaGrazie Gianni per il tuo contributo per la nosra bella Napoli.
Rosanna Hallecker ·
RispondiEliminaGrazie a tutte quelle persone che sì impegnano al recupero e al decoro di questa nostra città, restituendole la bellezza che merita.