mercoledì 30 gennaio 2013

Proverbi napoletani sulle promesse vane

A. Altamura(18.9.1914-31.1.1980)

A trantatre anni dalla scomparsa  di Antonio Altamura, letterato e scrittore vissuto per molti anni in San Carlo alle Mortelle, tra le sue 150 pubblicazioni mi piace ricordare  Proverbi napoletani , opera pubblicata nel Dicembre del 1966, scritta con Vincenzo Giuliani, da Fausto Fiorentino, indimenticabile libraro editore che aveva sede in Calata Trinità Maggiore a due passi da Piazza del Gesù, in una elegante e raffinata edizione con disegni di Pinelli e D’Anna.
“Dal  latino probatum verbum o pro verbo, il proverbio-secondo una definizione medievale-è una “sententia brevis ad instructionem dicta,comodum vel incomodum grandis materie manifestans”, elaborata nel lungo corso dei secoli dall’esperienza collettiva e adoperata per tramandare, in forma breve e concettosa, i precetti e i sentimenti degli antichi. Nei proverbi si vuole appunto identificare la voce dei vecchi,degli antiquiores nomine, e perciò essi prendono altresì l’appellattivo di “detti” o di “motti antichi”. In questo loro carattere,che ne costituisce l’essenza stessa, si ritrova anche la loro popolarità.”
Questo estratto dalla introduzione dell’opera che, come puntualizza lo stesso Altamura, non può essere esaustiva ma un buon contributo alla ricerca di proverbi tramandati e suddivisi “per le differenti occasioni della vita umana”.
Quale occasione migliore del periodo elettorale che stiamo vivendo per citare qualche proverbio e locuzione che attengono alle Promesse vane  :

Aspiétta,ciuccio mio,ca mo’ vène ‘a paglia nòva!
Si dice quando si vuol intendere cosa che non verrà mai o tarderà molto a venire
Passato ‘o periculo,gabbato lu santo
Specie i marinai,durante la tempesta,invocano ogni santo e fanno mille promesse di ravvedimento;poi torna il sereno e tutto viene dimenticato…;lo stesso si può dire delle persone che promettono doni e riconoscenza eterna nel momento del bisogno,o le tante profferte di alcuni candidati alle elezioni,ecc.
Prumette certo e vene meno sicuro!
Si dice di fanfarone,che è solito promettere molto e mantenere poco…
Essere ricco ‘e vocca
Prometter molto e mantener poco
E’ stato vuto ‘e marenaro!
Di promessa fatta con grande facilità,ma con maggior facilità dimenticata
Féscene,fescéne tutte chiaccune
Tante corbe e solo foglie di uva:cioè raccogliere poca frutta e molte foglie,promettere molto e mantenere poco
M’haie ‘mbriacato ‘e percòche!
Mi hai riempito di chiacchiere e di promesse
‘Na dicinga a’ mesurella e chill’amico ancora dorme!
Di chi promette e non trova il modo di mantenere
Mo’ m’acquiéte cu’ ‘sti canzone!
E ora ce la fai ad abbindolarmi con le tue chiacchiere!
Trasì ‘ cu’ ‘a scòppola
Di chi riesce a entrare in un cinema o in un teatro senza pagare il biglietto

domenica 27 gennaio 2013

Ebrei a Napoli



"Nell' agosto del 1938 a Napoli si contavano 835 cittadini ebrei (484 italiani e 351 profughi stranieri), dopo il 1940 si ridussero della metà con il decreto del settembre 1938 che imponeva l' allontanamento dallo Stato di tutti gli ebrei entrati in Italia dopo il 1919, con l' eccezione degli sposati o degli ultra 65enni.

 «Allontanarli dall' Italia significava metterli in mano ai tedeschi. Il fascismo imponeva una doppia discriminazione: quella degli ebrei dagli ariani, comune alle leggi naziste, e quella fra ebreo ed ebreo. In Italia i più "meritevoli", che si erano distinti e avevano ricevuto onorificenze, potevano richiedere di essere separati dagli altri ebrei ed esclusi dalle leggi razziali.

 Molte furono le richieste a Napoli, quasi tutte respinte. Così fu anche per le richieste di abiura degli "arianizzati", che, accolte in un primo momento risultarono poi inutili, non servirono a salvarli dallo sterminio».

 «Gli Ebrei non appartengono alla razza italiana», si legge sul "Manifesto della razza", pubblicato da "Il giornale d' Italia" del 15 luglio 1938: estranei all' Italia non hanno diritto al lavoro e all' istruzione.

Cinque furono i docenti espulsi dalla Federico II e centinaia i bambini allontanati dalle scuole. Solo a una decina di quegli scolari fu concesso di frequentare le lezioni nell' unica classe mista della città, messa insieme dal direttore Muro della scuola elementare Vanvitelli del Vomero, che ammise, contro la legge, bambini di 4 e 5 anni consegnati poi ai fascisti e allo sterminio nelle camere a gas di Auschwitz."(La Repubblica.it)


giovedì 17 gennaio 2013

'O cippo e' Sant'Antuono


Ritengo fare cosa gradita proponendo uno stralcio di uno scritto  di Francesco De Bourcard, un editore italiano di origini napoletane di cui si hanno pochi dati biografici ed anche molto poco attendibili,pubblicato nel 1866,  sui cippi , falò di Sant’Antonio, in occasione della festività del Santo il 17 di Gennaio, vecchia usanza napoletana, riportato  nella bella e storica opera Usi e costumi di Napoli dove raccolse in circa vent’anni scritti di Francesco Mastriani, Emmanuele Rocco, Carlo Tito Dal Bono ed altri con illustrazioni di vari artisti tra i quali i fratelli Nicola e Filippo Palizzi.
I
“…Un’altra divozione che à il nostro basso popolo per S.Antuono, ma che quanto prima dovrà pure sparire per opera delle guardie municipali, si è quella d’invocare da questo Santo, nella vigilia della sua festa che viene a’ 17 del mese di gennaio, protezione contro gl’ incendi; e per fare ciò tenta ogni mezzo da produrne qualcuno, facendo in ogni strada ed in ogni vico degl’immensi  falò di legname che brucia e che vien raccolto tutto in quel giorno da’ vicini del sito in cui si vuol formare il falò: quindi scatole, botti, porte, ceste e qualunque altro soggetto di legno vecchio e consunto che possa contribuire ad accrescere il fuoco è portato da’ vicini o gittato da’ balconi e dalle finestre in onore di S.Antuono .

Di tutto poi vien formata  una immensa pira o rogo, a cui sull’imbrunire della sera si appicca il fuoco, il quale deve consumarsi tutto fino a diventar cenere.

Tutto ciò forma la baldoria de’ monelli della strada ed il diletto di tutto il vicinato, che deve chiudere le finestre e i balconi per non restare vittima delle grandi colonne di fumo che ammorbano l’aria e per evitare qualche miracolo che potesse fare il Santo con qualche scintilla che introducendosi in casa vi appiccasse veramente il fuoco.
Abbenchè però in tutte queste nostre usanze si scorgesse quasi sempre una derivazione degli antichi costumi Greci o Romani ed abbenchè pure ve ne fossero ancora alcune che, per il loro tipo originale e caratteristico napolitano, tornassero sempre bene accette al curioso viaggiatore, pur tutta volta, per la civiltà de’ tempi e pel progresso, esse andranno a poco a poco a sparire dalla briosa città di Napoli, come con la istruzione del popolo sparirà ancora la sua superstizione;e sarà allora che questo libro rimarrà come un semplice documento storico nelle biblioteche.

Francesco de Bourcard



Il questuante, nel presentarsi alla porta del nostro popolano,comincia a suonare il campanello di ottone che tiene in una mano  ; e lo suona durante tutto il tempo che recita questa specie di preghiera in cattivi versi e nel dialetto napolitano:

Sant’Antuono abbate e potente

Libera sti devote da male lengue

Da fuoco de terra e da mala gente!

Mamma de la potenza

Dalle aiuto, forza e provvidenza

 E lo santo timore de Dio

Indi fa baciare la figura del Santo, che trovasi sul cassettino, dive si getta l’obolo per la elemosina. Poi, se mai  nella casa dell’operaio vi è qualche bimbo lattante, la madre fa bere un poco di acqua al fanciullo nel campanello del questuante,credendo così che il bimbo giunga a parlare presto e spedito. Questa è una delle tante superstizioni di cui abbondava il nostro basso popolo e di cui non ancora trovasi scevro del tutto,  nonostante il progresso e la civiltà de’ tempi:pur nulladimeno esse sono di gran lunga scemate e la istruzione popolare,di cui già si vede buon frutto, non tarderà a disperderle affatto….. (Francesco De Bourcard) 


Marcello Colasurdo nella Chiesa di S. Antonio abate


a Cicciano



sabato 5 gennaio 2013

I giochi, i bambini, la Befana


I cortili, i vicoli,  i giardinetti del Corso alle dieci del mattino del sei gennaio erano tutti un luccichìo di biciclette ,tricicli,monopattini,carrozzini, bambini vestiti da indiani e cow boys con archi e pistole , segno che la Befana aveva svolto il suo compito.

Il ritrovarsi in cortile, ai giardini pubblici era un atto di normalità perché i luoghi all’aria aperta erano quelli deputati al divertimento,ai giochi ,all’incontro con gli altri bambini per giocare assieme anche solo guardandosi.

Quei luoghi sono ormai regno incontrastato per il parcheggio delle auto,dei motocicli e assolutamente inibiti ai bambini che i loro giochi devono goderseli tra le quattro mura di una stanza tre per tre o magari davanti alla televisione con i videogiochi , senza possibilità di confronto con gli altri.

Anche i vicoli,le piazze dei nostri quartieri, sempre pieni di bambini, dove la strada era lo spazio inesistente al coperto, dove per giocare bastava un gessetto per  la settimana , due sacchetti dell’immondizia per segnare la porta delle due mini squadre di pallone, poche bottiglie per  fare lo slalom con la bicicletta, ‘o carruòciolo ( base di legno su quattro rotelle, sulla quale i ragazzi correvano per le strade in discesa); a proposito di carruòciolo, nei miei anni trascorsi a Verona ,ho conosciuto un campione nazionale di corse su carretti costruiti in maniera meno artigianale ma con la stessa logica al quale ho consigliato di consultarsi con qualche mia vecchia conoscenza sui quartieri di Napoli  per qualche consiglio tecnico…

Neanche più la strada ormai regno delle lamiere con quattro ruote e troppa gente tollerante con  motori e motorini e  non con le grida e la presenza  dei bambini.

Con la riscoperta del lungomare finalmente libero dalle auto e restituito a grandi e piccoli per sane passeggiate a piedi o in bicicletta, si è tornati in strada; via le auto, i motori  ed ai bambini qualche spazio in più per giocare,  più liberi, più occasione di  incontrare altri bambini per giocare fuori dalle quattro mura , non più in stato di isolamento, segno che quando si creano opportunità di utilizzo di spazi prima o poi vengono utilizzati al punto che con le belle giornate non si riesce neanche più a camminare a piedi.

La povera vecchia Befana ancora in uso in qualche parte del Paese è passata in second’ ordine sopraffatta dal più popolare Babbo Natale e alla povera vecchia non  resta  che qualche residuo regalo da consegnare, certa che quanto prima andrà in pensione, Fornero permettendo.