sabato 31 marzo 2012

Un sogno possibile


I sogni son desideri, cantava Cenerentola nel famoso film di Walt Disney nel 1950, un canto simbolo del potere dei sogni che talvolta si trasformano in realtà.
Questa volta non è la bella Cenerentola ma il Sindaco di Napoli  Luigi  De Magistris  che  nel corso di una trasmissione della popolare Radio Kiss Kiss ha voluto  confessare un suo sogno : trasformare le splendide scale che dalla collina del Vomero portano nel cuore della città in percorsi dell’arte e per quelle del Petraio un sogno in più, farne una piccola Montmartre con librerie, artisti di strada, arte e cultura.
Ma  il sogno di trasformare e vitalizzare le scale del Petraio, che forse anche il giovane Sindaco, come tanti di noi della zona,  ricorda anche come percorso degli innamorati , non può fermarsi al Corso Vittorio Emanuele ma deve obbligatoriamente coinvolgere il percorso di San Carlo alle Mortelle che porta ai quartieri Spagnoli, nel centro storico, verso Monte di Dio dove in piazza Santa Maria degli Angeli è in fase di costruzione una stupenda stazione della Metropolitana ,  nel cuore di Chiaia.
Questo sogno mi ha riportato a quanti amici ancora vivono in zona e quel sogno ,riferito alla piazza, qualcuno ha cominciato da tempo a verificarne le possibilità almeno per una sua riqualificazione dopo la ristrutturazione della bella Chiesa del Mazenta e della facciata dello storico stabile contiguo.
Non dovrebbe essere ricompreso nei sogni della bella Cenerentola ma un progetto alquanto possibile che si spera quanto prima di poter ufficializzare.
San Carlo alle Mortelle sul percorso dell’arte e della cultura non sarebbe affatto una novità ma un doveroso atto di recupero di memoria storica  possibile soltanto se lo si vorrà.
E’ complicato ma possibile.

sabato 24 marzo 2012

La pastiera


Nei profumi  che nella Settimana Santa invadevano le nostre case, in particolare tra il Giovedì ed il Venerdì, oltre il casatièllo che ha riscosso consensi  inaspettati , in particolar modo dagli amici che vivono  lontano da Napoli , non può mancare quello che era ed ancora è l’atto finale di un rito della tradizione della nostra tavola nel giorno di Pasqua : la pastiera.
Questo  dolce le cui origini antichissime difficilmente attribuibili ad un’epoca specifica trova però  d’accordo un po’ tutti gli studiosi della materia nell’individuare nell’antico monastero di San Gregorio Armeno, nel cuore di Napoli,  delle suore Crocifisse , di fianco ad uno dei gioielli del barocco napoletano, la stupenda Chiesa di Santa Patrizia, nella strada dei pastori, la nascita della pastiera nella versione attuale ad opera di una suora.
E non c’è da dubitare su questa versione ben conoscendo la grande attenzione all’arte della cucina che da sempre alberga nei conventi sparsi per il nostro Paese.
Il profumo dell’acqua di fiori, elemento indispensabile, che riporta all’atmosfera della primavera ed ai suoi profumi, sembrava stabilizzarsi  in casa nei giorni antecedenti la Pasqua, in un misto di dolce e salato, tra salami, ricotta salata e soppressata calabrese, il tutto in un clima di rigoroso rispetto del divieto di mangiare simili pietanze dal Giovedi alla mezzanotte di Sabato fino al suono delle campane.
E’ forse difficilmente comprensibile da parte della generazione dei nostri figli il valore di talune tradizioni che erano anche occasione di consumare pasti più succulenti, pietanze che solo in quel periodo si aveva la possibilità di gustare; era impensabile mangiare il casatièllo a novembre,gennaio oppure la pastiera a giugno,luglio.
Questo particolare dolce dalle caratteristiche così particolari e personali che credo sia talmente unico che nessuno potrà  mai dire di aver mangiato una pastiera uguale ad un’altra, con l’identico sapore, con lo stesso profumo; al pranzo di Pasqua non ricordo di aver  mai assaggiato una sola pastiera.
I pranzi pasquali consumati mai da soli ma sempre con i nonni, l’immancabile zia vedova o nubile , la signora  sola dell’appartamento sullo stesso pianerottolo, con la propria pastiera che doveva obbligatoriamente essere assaggiata : mai una uguale ad un’altra.
 E’ uno di quei dolci che difficilmente veniva  acquistato, era  prodotto in casa non solo per ragioni economiche,  ma che le pasticcerie che circondavano la nostra zona come Taranto, Miranda ma soprattutto  Principe ponevano  in bella mostra nelle loro vetrine ed erano facilmente individuabili dal sapore di provenienza non domestica, eccessivamente aromatiche.
Pastiera
Ingredienti
350 gr.di grano bagnato,7 dl di latte,300 gr.di zucchero, sugna,vaniglia, 1 buccia d’arancia o di limone, 500 gr. di ricotta,6 tuorli d’uovo,4 albumi, canditi, cannella, pasta frolla per 8 persone.Cuocete nel latte il grano bagnato con la buccia di un’arancia o di limone,la vaniglia ed un cucchiaio di zucchero. Mettete in una terrina la ricotta insieme al grano, allo zucchero,alla cannella ed ai canditi;formate un composto omogeneo con i tuorli e gli albumi montati a neve. Con la pasta frolla foderate una teglia e versatevi tutto il ripieno; con dell’altra pasta modellate delle striscioline che sistemerete a rombi sulla torta. Cuocete in forno fin quando la superficie non risulterà dorata: Servitela qualche giorno dopo la cottura.(Frijenno Magnanno – Prisma libri) 

giovedì 15 marzo 2012

Tradizioni pasquali : 'o Casatiéllo


Nella perenne corsa della vita, con le esigenze commerciali di anticipare sempre  i tempi in ogni occasione si presenti, nonostante il carattere sempre più pagano di talune festività dell’anno, anche Pasqua mostra già i segni della sua prossima presenza con le solite uova di ogni dimensione.
Anche la rete sembra voler anticipare i tempi con foto provocatorie di rustici,dolci e piatti tipici dell’occasione che a Napoli ancora fanno parte di un rito, di una tradizione irrinunciabile.
Questa mattina  è apparsa su FB, non più tardi delle nove, la foto di un casatièllo, rustico tipico della cucina napoletana ,che ha calamitato l’interesse compiaciuto e quasi morboso di tanti amici colpiti dall’apparizione e dalla voglia di conoscere, da parte dei non napoletani, dove fosse possibile acquistarlo.
Orrore, parola impronunciabile per la generazione delle nostre mamme che mai avrebbero consentito di consumare il casatièllo acquistato, non partorito in famiglia.
Ricordo mia madre che il lunedì successivo la Domenica delle Palme  cominciava ad organizzarsi per impastare ed infornare tra il venerdì ed il Sabato ben sei casatiélli, uno ciascuno per noi ragazzi, di  dimensioni diverse a seconda dell’età ed uno grande per la famiglia, tutti rigorosamente da consumare dopo la mezzanotte del Sabato, dopo che s’era sciolta ‘a  Gloria , al suono delle campane che avevano taciuto per oltre 48 ore. Guai a pizzicare prima e mangiare pezzi di salame in quel  lasso di tempo anche di digiuno.
Il casatiéllo personale generalmente lo portavamo per colazione a scuola il martedì successivo  al rientro delle vacanze pasquali, sempre che ne fosse rimasta traccia.
Questa torta di farina con sugna,ciccioli,pepe e uova intere con guscio ,così semplicemente descritta nella maggior parte della letteratura culinaria tradizionale napoletana, ha subìto nel tempo varianti e botte creative del tutto personali, da quartiere a quartiere, da famiglia a famiglia, con aggiunta di salame e formaggio a tocchetti (e senza ciccioli nella mia tradizione familiare).
Ma l’arricchimento del casatiéllo giustifica  l’attribuzione del termine a quella tipologia di persone particolarmente pedanti , pignole ed eccessivamente  critiche, si proprio nu’casatiéllo , generalmente la moglie al marito pantofolaio e ….scassambrelle.


Casatiéllo
Ingredienti per tegame di dimensione media
500 g di farina, 40 grammi di lievito, 300 grammi di ciccioli, 150 grammi di sugna,pepe,sale 200 grammi di salame, 4 uova sode
Disponete la farina a fontana;al centro mettete un po’ di lievito stemperato in acqua tiepida; aggiungete il sale, una cucchiaiata di sugna ed impastate. Mettete a lievitare la pasta sotto un panno di lana. Quando la pasta sarà aumentata di volume, lavoratela ancora aggiungendo il pepe. Spianatela, ungetela con la sugna, spargetevi il salame a dadini, i ciccioli ed avvolgetela per formare un rotolo. Ungete di sugna uno stampo con il buco centrale e ponete il tortano di pasta facendo aderire bene le estremità. Sulla superficie mettete qualche uovo intero. Dopo averlo fatto lievitare nuovamente, infornate e fate cuocere a fuoco moderato. Servitelo freddo in tavola.(Frijenno Magnanno –Prisma libri)

mercoledì 7 marzo 2012

La fabbrica in fondo al vicolo

Nel Blog che parla della storia del quartiere San Carlo alle Mortelle, non può ,mancare la storia della fabbrica BOSS. Questo scritto parla della storia di mio padre e della sua fabbrica, creata nell'immediato dopoguerra, sin dal 1946 e portata avanti attraverso il  boom economico dell'italia degli anni 50   fino agli anni della contestazione operaia e della definitiva chiusura avvenuta nel 1969.
La  fabbrica sorgeva in fondo al Vicoletto San Carlo alle Mortelle ed aveva raggiunto negli anni sessanta un discreto numero di operai ed una grande visibilità anche a livello nazionale. La BOSS e' stato il fiore all'occhiello dell'espansione italiana del dopo guerra a seguito della nascita della FIAT ed in particolare della mitica 500. Mio padre, dalla mente creativa e geniale, creò una serratura per il portellone posteriore della '500, che includeva la sigla I (Italia) e che poteva sostituire la normale serratura di serie fornita dalla FIAT. Credo di non sbagliarmi se affermo che questa piccola serratura sia stata comprata da quasi tutti gli italiani che in quegli anni avevano una 500 . La produzione si estese poi alla '600, una serratura a forma di aletta, ed alla '750.  
La storia della BOSS parte da molto lontano, al momento dell'armistizio che segnava la fine della 2^ guerra mondiale, nel lontano 1943. All'epoca mio padre, era sottoufficiale dell'aeronautica militare , Capitano addetto alla motorizzazione ed al controllo degli aerei militari. Al momento del disarmo generale lui scelse di lasciare l'aeronautica e si ritrovò a dover badare a se stesso ed alla nostra famiglia in un momento di totale caos economico e politico.
Fu così che cominciò a creare degli accendini, che in quel momento in cui era difficilissimo reperire cerini per accendere il fuoco, andavano alla grande.
Li fabbricava completamente da solo. In un piccolo stampo di alluminio creava la cassa, che poi limava a mano ed  infine  li finiva inserendo la pietra focaia. C'era solo un piccolo particolare: gli accendini erano fuori legge ed erano venduti al mercato nero. C'erano dei punti di vendita che raccoglievano la “merce”. Qualche volta la staffetta era mia sorella maggiore, che all'epoca andava in quinta elementare, e nascondeva gli accendini nella sua cartella.
Per fortuna questo periodo passò presto. La mente creativa e geniale di mio padre si industriò a creare una serie di brevetti che gli hanno permesso di portare avanti la fabbrica e la famiglia.  Nel 1946 brevettò  il lucchetto antiscasso , che si serviva di un originale sistema di sicurezza, che fu poi, usato anche dalla YALE. Cominciò  a lavorare in un locale in via san Nicola da Tolentino, con un suo collega d'arma, Antonio Osta, che poi divenne il suo Direttore di Produzione ed una sola operaia, che si chiamava Antonietta. Nel 1950 si trasferì in vicoletto san Carlo alle mortelle, e lì cominciò la sua espansione. IL lucchetto antiscasso ebbe un'enorme diffusione e la fabbrica cominciò ad avere alcuni operai fino ad arrivare al  1954, quando giunse  la commessa del carcere di Poggioreale di fornire tutte le serrature da applicare alle celle. Questo ordine fu un'enorme soddisfazione per mio padre, che cominciò ad avere ordini di una certa portata. Ed ancora, sempre nello stesso anno,   brevettò la serratura da applicare a tutte le Cassette Postali delle Poste e Telecomunicazioni Italiane.. Il brevetto portava un'innovazione fondamentale nel campo delle serrature di sicurezza delle cassette postali dell'epoca.
Insomma, in qualche modo mio padre era riuscito ad imporsi per la sua capacità di introdurre nel mercato delle nuove proposte. Il Ministero delle Poste e Telecomunicazioni accettò la proposta di mio padre e da quel momento in poi la fabbrica decollò fino a raggiungere circa 15 operai. Questo brevetto e' stato poi ricordato, negli ultimi anni, a seguito dell'interessamento di suo nipote, Dott. Mario Fiorentino, Direttore Generale addetto alla regolamentazione del settore postale e del Ministero dello Sviluppo Economico  ed esposto nel Museo Storico delle Poste Italiane, fondato nel 1878 ed adesso situato all'Eur.
Quasi in contemporanea nel 1956 nacque un'originalissima serratura a forma di tabacchiera per sportelli portabagagli di auto. Questo brevetto non ebbe il successo sperato. Ma la fervida fantasia di mio padre creò nel '61  la mitica serratura a sigla ITALIA, che fruttò prestigio e successo nazionale  alla sua piccola fabbrica.
Gli anni trascorsero veloci con ritmo frenetico, per la piccola fabbrica di mio padre che nei primi anni '60 si trovò a dover fronteggiare una mole enorme di ordini. A quel punto tutte le forze della famiglia vennero impiegate a dare una mano alla situazione. L'ufficio era in casa, e la contabilità condotta dal fratello di mio padre, lo Zio Gaetano, e tutti noi familiari e domestiche nel pomeriggio, contribuivamo all'impacchettamento delle serrature da inviare in giro per la crescente ITALIA degli anni del benessere e della ripresa economica . Può servire a comprendere l'atmosfera di quegli anni questo piccola memoria scritta dal primo nipote della famiglia, Luigi Fiorentino,figlio di mia sorella Amalia. Mia sorella si era già sposata e veniva qualche volta a trovarci con I suoi primi due figli, Luigi e Mario. Io , ancora giovanissima, contribuivo all' impacchettamento delle serrature da inviare la sera stessa della produzione che era avvenuta in giornata nella fabbrica.
Io ricordo la primaria Fabbrica di serrature .... ero piccolo. Non potevo scendere lì dove si creavano le mitiche serrature con le alette. Stavo con la nonna e le zie a casa. Ma anche lì l'aria era quella: era la casa delle donne della Fabbrica. Salivi le alte scale del palazzo e ti trovavi, senza saperlo, dentro. Passato un piccolo ingresso pieno di vari attrezzi e scatole ti trovavi di fronte ad una scrivania grande ed una piccola. Sulla grande c'erano tutte le carte e documenti mentre su quella piccola c'era una piccola macchina di scrivere, Olivetti mi sembra, che serviva per scrivere tutto quello che occorreva alla Fabbrica.
Ma il mio ricordo più tenero e vivo viene dalla cucina. Normalmente in una cucina si respirano odori, profumi, rumori di piatti. Lì invece io entrando trovavo le donne di casa, erano sedute attorno al tavolo, alcune in vestaglia, e lavoravano fino a sera. Quando faceva buio una tenua luce illuminava le loro mani sicure mentre impacchettavano con cura la serratura, le viti di supporto, le istruzioni e tutto quello che occorreva. Ogni tanto si fermavano e sorseggiavano un po’ di caffè. Un profumo che ho ancora nelle narici. Chiacchieravano anche ma lavoravano, con pazienza e di buona lena. Da questo posto uscivano per esser vendute le serrature di mio Nonno Mario.
Ecco, io credo che queste poche righe riescano a trasmettere l'atmosfera che abbiamo vissuto tutti noi italiani in quegli anni. L'anima del piccolo imprenditore italiano, che vive e respira la sua possibilità di affrancarsi dal bisogno e dalle memorie dei lunghi anni di sacrificio con creatività, impegno, entusiasmo e forza. Io ricordo che la fabbrica era parte della mia famiglia. Ed in effetti anche il rapporto con gli operai di mio padre era davvero familiare. Erano pochi, e quindi si conoscevano e lavoravano un po' tutti come in una piccola famiglia. Purtroppo , con il crescere della fabbrica, e con l'evoluzione che e' avvenuta verso la fine degli anni sessanta questo non e' potuto più accadere. La piccola fabbrica di mio padre e' stata anche lei inghiottita dal malessere che e' sopraggiunto con la contestazione operaia e con il decadimento della produzione FIAT. Mio padre era già così anziano da non avere il coraggio di investire nuove forze e di trasformare la fabbrichetta da una struttura familiare ad una industriale. E cosi, dopo le prime delusioni avute con il crollo delle vendite che si confrontava con la sua incapacità a trovare nuove forme di produzione e dopo le prima contestazioni che avvenivano, come era giusto che fosse, anche fra le sue maestranze, decise di chiudere la produzione nel 1969. Ma nel mio cuore di figlia e di donna che e' stata figlia del dopoguerra e della contestazione del '68, la fabbrica di mio padre e della mia famiglia resta impressa nella mia memoria in modo indelebile.
                                                                                                          Maria Bossa

lunedì 5 marzo 2012

Poesia, musica e liturgia

In questi giorni finalmente una moltitudine di persone ha pianto per la morte di un poeta , nel nostro tempo del decadimento culturale degli ultimi vent’anni che sembrava aver offuscato anche quel mondo fatto di versi, di emozioni, di sentimenti  e che Alda Merini, una delle più belle voci della poesia del novecento ,  esalta ricordandoci  che i Poeti,nel loro silenzio  fanno ben più rumore di una dorata cupola di stelle.
La discutibile raccomandazione della Conferenza Episcopale Italiana di non eseguire alcuna canzone di Dalla nel corso della cerimonia funebre , mi ha fatto ricordare gli anni ‘68/69 nel corso dei quali   con un gruppo di amici iniziammo l’esperienza della liturgia della Messa con canti presi dai testi di Mannerini e De Andrè  cantati dai New Trolls nell’album Senza orario e senza bandiera , con due chitarre elettriche (il mitico Sergio Ricciardi) ed una chitarra basso.
Esperienza indimenticabile apprezzata non solo dai giovani e consentita dal mitico parroco Don Franco Alfarano sempre disponibile ai nuovi  venti che proprio in quegli anni soffiavano un po’ in tutte le comunità di base sparse per l’Italia e non solo e che segnarono un momento molto importante per un dibattito nella Chiesa  troppo presto e scelleratamente soffocato.
La poesia musicata, cantata e partecipata come grande momento di preghiera, che riuscì a calamitare tantissimi giovani  poi coinvolti nelle attività della comunità.
Canzoni dai testi e musiche  di grandi Poeti come Fabrizio De Andrè  che riuscivano a suscitare emozioni e momenti di meditazione, difficilmente paragonabili con canti tradizionali seppur rispettabili.
A distanza di più di quarant’anni la lettura dello splendido  testo di Rondini ,da parte di un frate di Assisi ,mutilato e ferito dalla mancanza delle note e della voce del poeta,  ha comunque trasmesso emozione e commozione …a metà. 

giovedì 1 marzo 2012

Balconi

Stamattina scrivendo un articolo per un giornale italo-americano  sulla Coppa America di vela che si svolgerà prossimamente a Napoli, ho raccontato dei balconi con vista mare che si affolleranno di parenti ed amici per assistere allo spettacolo  delle regate.  Ho lasciato per un po’ la tastiera e la mente è andata  ai balconi di casa mia al terzo piano , un quinto delle nuove costruzioni, con una  vista meravigliosa sull’insenatura di Mergellina, via Caracciolo, la punta della Campanella, Capri, la collina di Posillipo con la Chiesa di San’Antonio la sera illuminata da decine di lampadine lungo tutto il perimetro che la rendevano visibile da tutta Napoli.
I balconi dei vecchi fabbricati non ampi come quelli delle nuove costruzioni, sempre vivi, con le braccia appoggiate alle ringhiere e le gambe dei bambini penzoloni , sempre fioriti con le gabbie dei canarini e cardellini al muro e il mobiletto frigo  in legno con la retina esterna per conservare un caciocavallo, un mezzo salame o le uova  sul balcone della cucina quasi sempre sul  lato nord.
Il balcone era il cellulare dell’epoca per parlare con gli amici,i vicini o con le lettere mute per quelli un po’ più distanti come gli amici nel fabbricato nuovo di via Filippo Rega,29 o con il terrazzo dello stabile di piazzetta Mondragone.
Capitava spesso di assistere a veri e propri dialoghi muti, a gesti, con sorrisi, con sguardi tra balcone e balcone, tra innamorati o semplicemente tentativi di approccio con appuntamenti  scritti su un foglio e letti col binocolo.
Scene d’altri tempi già allora con i corteggiamenti di  Amedeo innamorato pazzo della bella J. bionda del quinto piano oggi nonni di magnifici nipoti.
Ricordo che con la famiglia dell’appartamento sottostante, avevamo una campanella fissata a muro con una cordicella per chiamarci.
Immancabile era il paniere in vimini intrecciato con una lunga corda con funzione di mini-montacarichi  per le cinque sigarette sfuse nella bustina, i 100 grammi di provolone, il mazzetto per il brodo , dell’ultimo momento.
I balconi diventavano un piccolo palco di teatro in occasione dei fuochi d’artificio di settembre in occasione della chiusura dei festeggiamenti della Piedigrotta, i vicini  che non godevano della vista mare avevano la priorità, poi parenti e amici; altra occasione solenne i fuochi di fine anno per partecipare… alla guerra lampo.
La sera si vuotavano e i ballatoi delle scale comuni erano la prosecuzione delle  conversazioni, un modo di stare insieme , un modo semplice di vivere l’amicizia.
Il balcone più noto di Napoli è senza dubbio quello del grande Eduardo in Questi fantasmi  , con la scena del caffè che per quanti di noi vissuti in quegli anni non rappresenta una scena irreale,impossibile  ma naturale, abituale, meravigliosamente vera.