giovedì 17 gennaio 2013

'O cippo e' Sant'Antuono


Ritengo fare cosa gradita proponendo uno stralcio di uno scritto  di Francesco De Bourcard, un editore italiano di origini napoletane di cui si hanno pochi dati biografici ed anche molto poco attendibili,pubblicato nel 1866,  sui cippi , falò di Sant’Antonio, in occasione della festività del Santo il 17 di Gennaio, vecchia usanza napoletana, riportato  nella bella e storica opera Usi e costumi di Napoli dove raccolse in circa vent’anni scritti di Francesco Mastriani, Emmanuele Rocco, Carlo Tito Dal Bono ed altri con illustrazioni di vari artisti tra i quali i fratelli Nicola e Filippo Palizzi.
I
“…Un’altra divozione che à il nostro basso popolo per S.Antuono, ma che quanto prima dovrà pure sparire per opera delle guardie municipali, si è quella d’invocare da questo Santo, nella vigilia della sua festa che viene a’ 17 del mese di gennaio, protezione contro gl’ incendi; e per fare ciò tenta ogni mezzo da produrne qualcuno, facendo in ogni strada ed in ogni vico degl’immensi  falò di legname che brucia e che vien raccolto tutto in quel giorno da’ vicini del sito in cui si vuol formare il falò: quindi scatole, botti, porte, ceste e qualunque altro soggetto di legno vecchio e consunto che possa contribuire ad accrescere il fuoco è portato da’ vicini o gittato da’ balconi e dalle finestre in onore di S.Antuono .

Di tutto poi vien formata  una immensa pira o rogo, a cui sull’imbrunire della sera si appicca il fuoco, il quale deve consumarsi tutto fino a diventar cenere.

Tutto ciò forma la baldoria de’ monelli della strada ed il diletto di tutto il vicinato, che deve chiudere le finestre e i balconi per non restare vittima delle grandi colonne di fumo che ammorbano l’aria e per evitare qualche miracolo che potesse fare il Santo con qualche scintilla che introducendosi in casa vi appiccasse veramente il fuoco.
Abbenchè però in tutte queste nostre usanze si scorgesse quasi sempre una derivazione degli antichi costumi Greci o Romani ed abbenchè pure ve ne fossero ancora alcune che, per il loro tipo originale e caratteristico napolitano, tornassero sempre bene accette al curioso viaggiatore, pur tutta volta, per la civiltà de’ tempi e pel progresso, esse andranno a poco a poco a sparire dalla briosa città di Napoli, come con la istruzione del popolo sparirà ancora la sua superstizione;e sarà allora che questo libro rimarrà come un semplice documento storico nelle biblioteche.

Francesco de Bourcard



Il questuante, nel presentarsi alla porta del nostro popolano,comincia a suonare il campanello di ottone che tiene in una mano  ; e lo suona durante tutto il tempo che recita questa specie di preghiera in cattivi versi e nel dialetto napolitano:

Sant’Antuono abbate e potente

Libera sti devote da male lengue

Da fuoco de terra e da mala gente!

Mamma de la potenza

Dalle aiuto, forza e provvidenza

 E lo santo timore de Dio

Indi fa baciare la figura del Santo, che trovasi sul cassettino, dive si getta l’obolo per la elemosina. Poi, se mai  nella casa dell’operaio vi è qualche bimbo lattante, la madre fa bere un poco di acqua al fanciullo nel campanello del questuante,credendo così che il bimbo giunga a parlare presto e spedito. Questa è una delle tante superstizioni di cui abbondava il nostro basso popolo e di cui non ancora trovasi scevro del tutto,  nonostante il progresso e la civiltà de’ tempi:pur nulladimeno esse sono di gran lunga scemate e la istruzione popolare,di cui già si vede buon frutto, non tarderà a disperderle affatto….. (Francesco De Bourcard) 


Marcello Colasurdo nella Chiesa di S. Antonio abate


a Cicciano



8 commenti:

  1. Melina Longano
    devo dire la verità.. da bambina il cippo mi spaventava..le fiamme erano più alte del nostro balconcino...

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    1. Ricordo, un rito pericolosissimo andato via via scomparendo ...per fortuna

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  2. Antonio,piacevole ricordo dell'infanzia e ,come sempre,una tua interessante e benefica,per l'anima,nota sulle usanze,antiche,del "vicolo".Non ricordo d'aver mai partecipato ad un "cippo" ma ricordo che i miei "cumpagnielli" del vicolo,un pò più "monelli" di me,raccoglievano gli alberi di natale in un luogo segreto e li difendevano dai blitz di altri monelli,facendo le "guainelle".Una sorta di guerriglia a base di "ptriate" ovvero lancio di pietre.

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    1. Ricordi bene, caro Bruno, oggi, purtroppo, la degenerazione sociale ha fatto registrare proprio ieri in occasione della festività, un episodio di pura delinquenza avvenuto in zona Mergellina dove i vigili del fuoco intervenuti per scongiurare un incendio a seguito di un falo' fuori misura....e sono stati accolti con lancio di pietre. Come vedi ancora una volta delinquenti e non monelli di un tempo, occupano le cronache, della peggiore cronaca.

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    2. L'ho sentita e me ne vergogno per loro,altra tacca negativa.Che differenza con il buontempone che ha annunciato ,per la gioia di tutti,la depenalizzazione del Napoli.

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  3. Grazie Antonio, un bel ritorno al passato.
    Mio padre mi raccontava di questa tradizione e molto spesso mi ha portato a vedere la "vampa di Sant'Antuono" (da noi si dice così). Ricordo che venivano sitemate con ordine e pazienza scarti di legna, fascine, scatole, cassette...Peccato che ormai queste usanze sono scomparse.

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    1. Ne è passato di tempo...poi,come tante cose, degenerano e diventano molto pericolose a causa dell'inciviltà di certa gente che non manca occasione per esibirsi, come potrai leggere nella risposta in altro commento.Ciao

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  4. 17 gennaio, festa popolare di S. Antonio Abate. Nel vecchio quartiere che prende il nome del santo si celebra una grande festa in suo onore e vi si svolge la cerimonia della benedizione degli animali. Di sera, in parecchie strade di Napoli, in particolare quelle più popolari dove ancora vivono tanti napoletani veraci, si accendono grandi falò sperando che "Sant'Antuono", in cambio di cose sgangherate… ma, soprattutto, dei tanti problemi irrisolti che continuano ad umiliare l'intera città, bruciate in questo fuoco scintillante ed esorcista, ci dia un domani migliore, in tutti i sensi! Io voglio ancora crederci!
    Sperando possa interessare a qualcuno riproduco la descrizione di un falò e delle emozioni che " 'o cippo" faceva vivere ad uno scugnizzo, figlio dei vicoli di Napoli, oltre una cinquantina di anni fa: ’O CIPPO ’E SANT’ANTUONO
    È sera. ’Npont’ ’o vico ’o cippo è pronto./ È na catasta ’e rrobba vecchia, dinto/ ce sta nu poco ’e tutto: segge sfunnate,/ tàvule zoppe, sarcenelle, casce,/ na cònnola scassata, nu siggione,/ na meza perzïana scancariata/ e trezzïole/ c’hanna sparà comme s’appiccia ’o ffuoco./ Ncopp’ ’a catasta/ s’agghionta ancora rrobba,/ e cchiù ’o muntone cresce/ cchiù se fa allera ’a voce d’ ’a maesta/ ch’allucca: – “Bona ge’, jammo, menate,/ ca Sant’Antuono/ se piglia ’o bbiecchio e po’ ve torna ’o nnuovo” –./ Che friddo. Che scurore. Po’, a’ ntrasatta,/ comme s’appiccia ’sta catasta, ’o vico/ se ienche ’e luce, ’e càvero, ’e priezza:/ che vuo’ cchiù friddo, pare ’o mese ’austo! / Porte spaparanzate, allucche, sische,/ gente affacciate, vecchie mmocch’ ’e vasce,/ chi sbatte ’e mmane, chi s’appila ’e rrecchie/ quanno ’e ttrezziole sparano, chi canta,/ chi se mpruvvisa a ffa’ na tarantella,/ chi ’a coppa votta ancora rrobba vecchia,/ chi s’avvicin’ ’o ffuoco, chi se scanza,/ chi corre, chi se nquarta, chi pazzea,/ chi ride, chi se fa nu segno ’e croce,/ chi guarda ’ndifferente,/ chi arape ’o core a n’esistenza nova/ e a Sant’Antuono manna na preghiera,/ suspira na prumessa,/ affida na speranza.
    Raffaele Pisani www.raffaelepisani.it

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