sabato 2 novembre 2013

La morte a Napoli

Napoli, Cimitero delle Fontanelle
un racconto di       
                Giuseppe Marotta
 
Certo si può morire dovunque. Al mio paese, quando qualcuno decede,si verificano puntigliose gare di cordoglio,con svenimenti,crisi di sconforto e tentativi di suicidio dei consanguinei, peraltro sventati da agili sopravvenuti che riescono quasi sempre a impedire clamorose dimostrazioni di estrema solidarietà. Essi immobilizzano prodigiosamente,come si vede fare dai santi negli ex voto, i dissennati e madidi individui sull'ultimo centimetro del davanzale da cui stavano per spiccare il tragico salto;poi li rigettano nella piccola folla che assorda il cadavere,e della quale fa parte, dando prova di non meno fazioso strazio, anche qualche sconosciuto passante. Più tardi, alla famiglia spossata, gli amici recano cibi e vino. E' anche questa una competizione, che nelle case visitate dalla sventura porta l'abbondanza; come ricordo d'aver mangiato il giorno della morte di mia nonna, io per esempio non mangerò mai più...

La morte al mio paese, è napoletana: vi abita regolarmente, non viene né dagli abissi né dalle stelle. Ragazzi e adulti percorrono tutta la città per andare a vedere un morto; i parenti in lacrime li fanno entrare,urlano e gesticolano ma già pensano al momento in cui restituiranno la visita.

Ogni uomo , a Napoli, dorme con sua moglie e con la morte; in nessun paese del mondo la morte è domestica e affabile come laggiù fra Vesuvio e mare. La spettacolosa angoscia a cui ogni morte dà luogo è un ingenuo trucco per illudere e per illudersi che la morte sia una rarità, per solennizzare in qualche modo il più comune e previsto degli avvenimenti locali.

Le donne vestono il defunto con attenti e sicuri gesti, come se non avessero mai fatto altro; lo pettinano e lo agghindano come per la prima comunione; poi con le sue persuasive cadenze del dialetto cominciano a piangerlo, è poco meno che una malinconica e familiare nenia per addormentare il morto.

Il due Novembre i vicoli brulicano di bambini che sollecitano i passanti, in nome dei morti, a introdurre qualche spicciolo in certi loro bizzarri e funerei salvadanai di cartone fabbricati per la ricorrenza. Inutile dire che questo denaro non va poi speso in candele e fiori per i defunti, bensì in melagrane e dolci per gli stessi piccoli questuanti; e se finiamo per aderire ai loro perentori inviti è perchè d'improvviso ci ricordiamo, trasalendo, che a Napoli muoiono troppi bambini...
 
(da Cento di questi giorni!...Calendario napoletano di prose,poesie e folklre coordinato da Antonio Altamura -1976)

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